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L’8 e 9 giugno si voterà per 5 referendum abrogativi. Siamo la generazione che vota meno: quasi un giovane su due sceglie di non andare alle urne. Ma siamo davvero disinteressati o è la politica che semplicemente non parla più di noi?

Proviamo a spiegare perché questi referendum riguardano anche noi giovani, ben più di quanto sembri.

Si tratta di referendum abrogativi: siamo chiamati a votare “Sì” per eliminare (abrogare, appunto) un comma specifico di legge.
Questa tornata vede quattro quesiti che riguardano il lavoro e uno sulla cittadinanza.

PRIMO E SECONDO QUESITO
Oggi, tra un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 e uno dopo, esistono disparità evidenti quando si tratta di licenziamenti illegittimi – cioè quei licenziamenti che non rispettano le regole previste dalla legge (ad esempio, senza giusta causa o giustificato motivo). Chi è stato assunto prima del 2015, se licenziato ingiustamente, può avere diritto al reintegro nel posto di lavoro o a un’indennità più un risarcimento.
Chi è stato assunto dopo il 2015, invece – secondo quanto previsto dal cosiddetto “Jobs Act” – può ottenere al massimo 6 mensilità di indennità economica. Non un giorno in più. Anche nei casi più palesemente ingiustificati, questo limite rimane. Oggi, oltre 3 milioni e mezzo di lavoratori si trovano in questa situazione. E tra questi ci sono molti di noi: studenti che si affacceranno al mondo del lavoro, neolaureati già inseriti in contesti precari, giovani costretti ad accettare regole ben diverse. Il principale promotore dei quesiti referendari sul lavoro, la CGIL, chiede che la valutazione dell’indennità di risarcimento spetti al giudice e che venga inoltre tolto il tetto massimo di 6 mensilità.

TERZO QUESITO
In Italia, circa 2 milioni e 300 mila persone lavorano con contratti a tempo determinato, utilizzabili fino a un massimo di 24 mesi.
Quello che spesso non si sa è che, oggi, un contratto a termine può durare fino a 12 mesi senza che il datore di lavoro indichi una reale motivazione oggettiva – quella che tecnicamente si chiama “causale”.
Eppure, per legge, il contratto a tempo determinato dovrebbe essere un’eccezione, non la regola. Quante volte, invece, ci siamo sentiti dire: “Ti faccio un contratto di prova di un mese, poi vediamo”? Come se il contratto a termine dovesse sostituire il periodo di prova, che invece è già previsto nei contratti. Ripristinare l’obbligo di causali significa ridare dignità al lavoro precario e limitare gli abusi, perché nessuno dovrebbe sentirsi ricattabile solo per il fatto di avere un contratto a scadenza.
Perché diciamolo: quanto puoi davvero far valere i tuoi diritti in un posto di lavoro dove sai di poter essere lasciato a casa da un giorno all’altro? In un sistema così, parlare di casa, mutuo, stabilità, non è più una possibilità. È un lusso.

QUARTO QUESITO
Il quarto quesito parla di responsabilità nei subappalti, un mondo spesso invisibile ma che riguarda da vicino la sicurezza sul lavoro.
Oggi, se un lavoratore si infortuna mentre lavora in un appalto, l’azienda appaltatrice (quella che affida il lavoro) non è automaticamente responsabile dell’infortunio: può sottrarsi alla responsabilità, anche se quel lavoro lo ha commissionato lei.
Il referendum chiede di cambiare questo: estendere la responsabilità anche all’impresa appaltante, affinché nessuno possa lavarsi le mani se un lavoratore si infortuna o, peggio, muore mentre lavora per conto suo.
Perché la verità è che nessun lavoro dovrebbe valere più della vita di chi lo svolge. E se un’azienda guadagna da quel lavoro, allora deve anche risponderne.

QUINTO QUESITO
L’ultimo quesito referendario si discosta da quelli del lavoro, e riguarda infatti la diminuzione da 10 a 5 anni di residenza legale in Italia per poter fare domanda di cittadinanza italiana. Oltre 914.000 studenti non hanno la cittadinanza italiana, pur essendo nati e cresciuti qui. Vivono, studiano, lavorano assieme a noi. Eppure, sono esclusi da opportunità che per molti di noi sono scontate. Per molti studenti senza cittadinanza, l’incertezza non riguarda solo il futuro accademico e lavorativo, ma la possibilità stessa di restare qui, con un permesso di soggiorno sempre da rinnovare.
Il referendum chiede di riconoscere come cittadini italiani chi ha vissuto per anni nel nostro Paese, che conosce la lingua e la cultura italiana.